Un tesoro in patria. «Nel Varesotto il Made in Italy è vivo e vegeto. Forse non ci saranno i grandi numeri del passato, ma per qualità e sostenibilità è un riferimento»: parola di Antonio Di Domenico, stilista italiano che da qualche anno abita in provincia ma che, dopo Stone Island e Gruppo Prada, è da poco approdato oltre Manica per una nuova avventura per il brand Christopher Kane del gruppo Kering (quello di Gucci, Bottega Veneta, Saint Laurent e tanti altri). Cerchiamo chi è certificato Stoffe, filati, ma anche nuove tecnologie: chi ogni giorno si confronta con la qualità e l’originalità che il mito del Made in Italy deve soddisfare, soprattutto all’estero, ha una lente rosa per la provincia. «La crisi ha cambiato le abitudini e le funzioni, le aziende hanno tagliato i costi anche per selezionare i materiali. Se prima gli acquisti per le prove tessuto erano più che abbondanti e rimanevano inutilizzati, la crisi e la conseguente revisione dei budget hanno costretto a un’attenzione maggiore sugli acquisti. La quantità ha lasciato inevitabilmente il posto ad una qualità sempre più ricercata». Accanto al meglio della produzione, s’è fatta strada sempre più la ricerca di tessuti “ecosostenibili”. «Anche adesso in Inghilterra, dove collaboro con un gruppo internazionale, per noi è molto importante la tracciabilità dei materiali. Noi stilisti nel momento in cui selezioniamo seta, cotone o un tessuto ricamato, preferiamo rivolgerci ad aziende certificate per quanto riguarda l’impatto ambientale dei loro prodotti». E molte di queste aziende sono a due passi da casa per Di Domenico, nato a Napoli, ma varesino d’adozione. «Il Varesotto, che ha la fortuna di essere a ridosso della grande capitale della moda, è famoso per l’intimo, i tessuti a maglia e per la casa. Conoscevo e ho collaborato con tantissime aziende del territorio anche prima di trasferirmi qui, Besani, Maglificio Mida o Flem; ma anche col Comasco e il Milanese, da Tessitura di Nosate a Limonta. Tutte aziende che sono appunto certificate e che danno la qualità, la garanzia di prodotti sostenibili, dal filato al prodotto finito». Anche se ora lavora per un brand internazionale «siamo sempre Made in Italy al 100% lavorando con laboratori che vanno da Olgiate Olona a Gallarate. In una giornata, quando sono a Varese, posso andare dal produttore del tessuto fino al confezionista». La marcia in più di artigiani e imprenditori è quella di puntare a soddisfare il cliente. Attenzione al cliente «Dopo che in tanti hanno delocalizzato la produzione con le inevitabili conseguenze sui minimi di produzione (comprare tessuto Made in Italy prevede un minimo di 300 metri), i confezionisti di zona – anche chi è abituato con griffe internazionali – si sono adoperati per venire incontro alle esigenze dei clienti con minimi per 100 capi di produzione». Una scelta che si mostra vincente se paragonata al panorama estero, anche europea. «Di recente quando è capitato di discutere di minimi produttivi per il Portogallo, mi sono interrogato sul fatto che rivolgendomi ad aziende di fiducia “di casa” sarei stato sicuro che avesse i controlli, le certificazioni e anche i costi più adatti».