Mancano 12mila unità di personale laureato in ambito sanitario e altre 6mila nelle materie Stem.
Dite voi se non è un paradosso. Un Paese come l’Italia, che vanta la terza disoccupazione giovanile d’Europa e ha il poco invidiabile record di tre milioni di Neet, continua ad avere ogni anno oltre 140mila posti di lavoro, riservati a diplomati e laureati, che restano liberi perché non si trovano i giovani in possesso della formazione giusta. Di questi, 8mila circa riguardano l’istruzione terziaria e professionalizzante, cioè atenei e Its Academy, e altri 133mila riguardano gli studenti in uscita dagli istituti tecnici. Viceversa ogni anno produciamo oltre 50mila liceali in più di quelli che il mercato è in grado di assorbire.
E se è vero che molto spesso il liceo viene considerato solo una tappa di passaggio in vista dell’università, è altrettanto vero che gli abbandoni universitari a due cifre sono un altro lusso che non possiamo permetterci. Specie se letti in abbinata al penultimo posto nell’Ue per giovani 30-34enni in possesso di una laurea, e all’8-10% di talenti con la laurea che vanno all’estero per lavorare.
Ragionamenti che vengono quasi naturali a leggere gli ultimi numeri di Unioncamere-Anpal sul mismatch che ci attanaglia e che rende il mondo dell’istruzione e del lavoro simili a due rette spesso parallele.
Difficile un ingresso su due
Oggi la difficoltà di reperimento del personale lamentato dalle aziende è al 46%; in pratica, quasi un’assunzione su due è ormai considerata “complicata” dai datori. Nel 2019, prima del Covid, era al 25%, cioè un quarto.
In media le imprese impiegano 3,9 mesi a reperire il profilo ricercato. Il 16,8% dei profili richiede una ricerca tra i 6 e i 12 mesi e per 1’8,1% la ricerca supera i u12mesi, con le conseguenze immaginabili in termini di «valore aggiunto» perso. Nel 2022, con un mismatch medio del 40%, Unioncamere-Anpal hanno stimato una perdita di «valore aggiunto» di circa 38 miliardi di euro, considerando un tempo di inserimento tra i 2 e i 12 mesi.
La motivazione principale alla base della mancata assunzione è l’assenza di candidati. Un dato che, peraltro, va calato nel contesto di denatalità e abbandoni scolastici che conosciamo: ogni anno, a causa del gelo demografico, perdiamo 100/110mila studenti (arriveremo a -1,4 milioni di alunni tra dieci anni), e ci sono poi altri 100mila giovani, sempre ogni anno, che non completano il percorso di studi. La seconda causa del mismatch è il possesso di competenze non in linea con la richiesta di un mondo produttivo in profonda trasformazione.
Le professioni più introvabili
Il paradosso è che il lavoro c’è: da qui al 2027, gli ultimi dati Excelsior, stimano un fabbisogno di circa 3,8 milioni di risorse, di cui 2,7 per il naturale turn-over e 1,1 di nuove assunzioni. E si va sempre più a caccia di profili “qualificati” in grado di affrontare le rivoluzioni in atto, dal 4.0 (ormai 5.0) al green. Ebbene, il 34,3% della richiesta è di personale con laurea o diploma Its Academy, il 48,1% sono periti. Ma se vediamo i numeri dell’offerta ci rendiamo subito conto dove nasceranno i problemi maggiori. Ogni anno servono quasi 253mila risorse con titolo terziario, a fronte di una offerta di 244.200. Si avrà necessità poi di 355.100 periti l’anno, ma ce ne saranno 221.900.
Nell’ambito sanitario mancheranno all’appello 12mila laureati ogni anno, in quello economico-statistico oltre 8mila unità annue e più di 6mila lavoratori con un titolo terziario nelle discipline Stem. In particolare, per le aree scientifico-tecnologiche, i “mismatch” più critici si evidenziano nell’ambito delle scienze matematiche, fisiche e informatiche e in quelle ingegneristiche.
Passando ai diplomati degli istituti tecnici e professionali la carenza di personale è drammatica: la stima Unioncamere-Anpal è che l’attuale livello di offerta formativa complessiva soddisfa appena il 6o% della domanda potenziale di periti nei prossimi cinque anni, con livelli di mismatch più critici per gli ambiti relativi a trasporti e logistica, costruzioni, sistema moda, meccatronica, meccanica ed energia, per i quali si prevede che tra il 2023 e il 2027 l’offerta potrebbe coprire meno di un terzo della domanda potenziale.
Sono tutti profili in uscita dai nostri istituti tecnici e professionali, che – se ce ne fossero a sufficienza – troverebbero una occupazione praticamente immediata. Eppure anche quest’anno il 57,1% degli studenti neoiscritti alle superiori ha scelto un indirizzo liceale, a fronte di un 30,9% che ha optato per un tecnico e un 12,1% per un professionale.
Il nodo delle soft e delle e-skills
Se dai profili scendiamo alle singole competenze la fotografia si fa ancora più cupa visto che riguarda le soft e le e-skills, oggi ritenute fondamentali per il lavoro. II “mismatch” per la conoscenza dei metodi informatici ha raggiunto il 47,7%, supera il 47% anche l’applicazione di tecnologie 4.0 mentre il possesso delle competenze digitali è critico nel 44,2% dei casi e l’attitudine al risparmio energetico si ferma poco sotto, al 44%.
Un paradosso nel paradosso per un’industria che va veloce, ma che rischia di fermarsi perché mancano le risorse umane necessarie al cambiamento