Adesso c’è anche il giorno, il 22 di ottobre. E’ la data in cui si svolgerà il doppio referendum lombardo e veneto per l’autonomia regionale. La comunicazione ufficiale è arrivata nella tarda mattinata di ieri da Roberto Maroni, al termine della giunta di Palazzo Lombardia, che si è tenuta nella sede della Provincia di Bergamo. Proprio a Bergamo è stata stipulata l’intesa per il passaggio di una serie di strade provinciali della Bergamasca nelle competenze della Regione. Nell’occasione, durante la conferenza stampa conclusiva, il governatore ha reso noto i termini di un altro accordo, questa volta con il suo collega del Veneto, Luca Zaia, per l’apertura dei seggi. Decisione congiunta all’indomani dell’accelerazione impressa alla consultazione sull’autonomia, così come annunciato giovedì a Milano dallo stesso presidente lombardo. Appuntamento referendario in lista d’attesa da un paio d’anni, contrattato senza successo prima con il governo Renzi, poi con l’esecutivo Gentiloni. L’obiettivo di Maroni e Zaia era semplice: chiamare alle urne lombardi e veneti in occasione di elezioni amministrative o politiche, in modo da ottenere un notevole risparmio per le casse pubbliche. Ai ripetuti dinieghi di Palazzo Chigi, si è deciso di procedere comunque. Chiaro sul punto Maroni: «Il referendum è lo strumento massimo di espressione della democrazia: la sovranità appartiene al popolo, dice la Costituzione, non ai ministri o ai governatori, o ai sindaci. La consultazione del popolo su un argomento tanto importante è un atto di democrazia». A chi gli ha fatto presente che le opposizioni eccepiscono proprio sui costi, considerandoli un inutile spreco (l’autonomia regionale può essere trattata a prescindere con Roma), Maroni ha detto: «Anche le elezioni costano, allora evitiamo di farle». Il confronto sull’autonomia e sul cosiddetto federalismo differenziato si è dunque riacceso, e non a caso. Il ministro Maurizio Martina ha subito dichiarato che il governo è disponibile ad aprire un tavolo per attribuire ulteriori competenze alla Regione, secondo l’articolo 116 della Costituzione. Trattative auspicate anche dal segretario regionale del Pd, Alessandro Alfieri («Con il referendum si sprecano i soldi dei lombardi»), e da Giorgio Gori, primo cittadino di Bergamo in predicato di candidarsi per Palazzo Lombardia in contrapposizione a Maroni, ma favorevole a una Regione con più poteri. Pronta la replica di Maroni: «Sono sempre disponibile a discutere e a collaborare, lo stiamo facendo oggi, l’ho fatto molte volte con il governo, quindi se ci saranno segnali di concretezza dialogherò volentieri con Palazzo Chigi. Intanto oggi abbiamo fissato la data del referendum. Da domani metteremo in atto tutte le procedure per indire la consultazione, che per la prima volta si svolgerà con voto elettronico». Al di là degli aspetti tecnici restano i significati politici del referendum, destinato nelle intenzioni ad ottenere un voto trasversale tra gli elettori. Chiosa Maroni: «Non credo che nessun cittadino lombardo possa votare no al quesito: vuoi che una parte rilevante dei 54 miliardi di tasse lombarde rimangano qui per aiutare chi ha bisogno, per realizzare gli ospedali, per migliorare l’assistenza sanitaria, abolire il bollo auto? C’è qualcuno che potrebbe dire di no per ragioni ideologiche?».