«C’è bisogno di fare qualcosa che smuova la città e piazza Monte Grappa è il luogo giusto proprio perché si trova al centro del tessuto urbano. Per questo dico che, se verrà accettata, la Stele Varese non sarà la mia scultura, ma la scultura della città».
Marcello Morandini torna a parlare dell’opera che ha progettato in occasione dei duecento anni della elevazione a città e che, presentata nei giorni scorsi, attende il via libera di Palazzo Estense.
In realtà, le due stele “contrapposte nei segni e nei colori, unite alla base nel segno dell’infinito” sono il pretesto per allargare l’orizzonte a un discorso che arriva a giudicare Varese nel suo complesso.
«L’infinito che forma il basamento dell’opera è un ripensare ogni volta la storia e in tal senso viviamo un infinito continuo. Nessuna forma è per sempre e se lo è per una persona, non lo è per un’altra. Per questo dico: cari concittadini, se volete criticare la mia opera fatelo pure, ma in modo realistico e costruttivo, giudicandola per quella che è. Perché conoscenza significa rispetto per l’altro: l’ho imparato dal mio lavoro».
Le due stele, una bianca e una nera, che corrono verso l’alto finendo con l’abbracciarsi rappresentano una costante nell’opera di Morandini, artista di fama internazionale le cui opere campeggiano nelle piazze di mezza Europa.
“Fortunatamente viviamo in una città immersa nella natura come poche e questo ci autorizza criticamente ad una saggia scelta di priorità, valori e simboli. Questa unione esprime una forte simbologia formale di amore, amicizia, rispetto” si legge nella lettera che accompagna il progetto e che si trova sul tavolo degli assessori Sergio Ghiringhelli e Simone Longhini oltre che su quello di Mauro della Porta Raffo, presidente del Comitato organizzativo per i duecento anni. «Vorrei che Stele Varese, non mi piace la definizione “torre”, fosse una sorta di compendio di quanto c’è di positivo nella storia della città. Un positivo che, però, raramente è stato capace di “andare oltre.” Voglio dire che qui, spesso, chi propone qualcosa non è convinto fino in fondo di quello che fa e così viene a mancare anche l’appoggio pubblico che invece è fondamentale. In questo senso, non possiamo addossare alla politica tutti i torti se le cose non vanno bene. Fontana è stato un buon sindaco e se non è riuscito a fare molto, la responsabilità è anche di quella parte della popolazione che si lamenta sempre e comunque. E’ ora che cambi tutto, è ora di fare qualcosa perché la città è la gente e la gente è la città. C’è bisogno di convinzioni collettive, basta lamentarsi. Poniamoci un obiettivo e andiamo fino in fondo. Le due stele vogliono significare proprio questo abbracciarsi per puntare tutti insieme ad una meta, come due valori che assieme concorrono al medesimo obiettivo».
Giunto a Varese dalla natia Mantova quando era ancora bambino, Morandini ha girato e gira il mondo per lavoro, ma rimane innamorato della città in cui vive da quasi settant’anni.
Così, ha pensato all’opera di piazza Monte Grappa (per la quale esiste un precedente progetto di sistemazione “con il quale il nuovo di armonizzerebbe formalmente alla perfezione”) come ad un regalo in occasione dei suoi duecento anni. “Donerò gratuitamente il progetto, di cui potrei seguire la costruzione e i lavori, senza percepire alcun compenso” si legge ancora nella lettera ufficiale sopra citata. Rimarrebbe a carico dell’istituzione (o eventualmente dei privati che venissero coinvolti da Palazzo Estense) il solo costo di costruzione.
Quattordici metri di marmo e granito
Il suo ideatore definisce l’opera «un forte segno che sia per tutti un quotidiano simbolo visibile di questo nostro importante bicentenario». Per questo ha pensato a piazza Monte Grappa, ideale «per la sua simbolica centralità e importanza», escludendo altri luoghi «non adatti ambientalmente per motivi diversi», a parte forse piazza Repubblica che però presenta secondo Marcello Morandini un «futuro poco chiaro con i suoi spazi dispersivi». Stele Varese è composta da due bracci, uno bianco e uno nero, alti entrambi 14 metri, contrapposti nei segni e nei colori, uniti alla base nel segno matematico dell’infinito su cui sono impresse le due date del 1816 e del 2016. Una scelta coloristica che, secondo l’autore, «esalta la forma ed esclude l’equivoco perché bianco e nero sono i colori del tutto e del niente». I materiali utilizzati dovranno essere quattro: il marmo bianco della cava “Lasa del Trentino”, il granito “Nero africa“, un granito locale di contenimento e infine una struttura interna di acciaio. Tutto a poggiare su un basamento in cemento armato. Via, ovviamente, l’abete che da diversi anni serve da “albero di Natale” e che potrà essere ripiantumato altrove. Tutto senza intaccare forma e funzione dell’attuale spartitraffico di forma ovale. Il tempo di costruzione? Tre mesi.