Saluti, abbracci, pacche sulle spalle e un’interminabile serie di selfie. È la star della serata e non solo perché è il re Mida del calcio italiano. Beppe Marotta non è solamente l’uomo chiave della Juventus vincitutto ma è anche, anzi soprattutto, un figlio di Varese. Perché qui è nato, 59 anni fa, perché qui è cresciuto e perché qui ha imparato il “mestiere” del dirigente. Nella Sala Napoleonica delle Ville Ponti è l’ospite d’onore della quinta edizione del premio Varese Sport: distribuisce sorrisi, ma rivela di non aver ancora digerito la sconfitta della squadra di Allegri a Verona. I bianconeri hanno già vinto lo scudetto, il quinto consecutivo, ma lo stile Juve impone di vincere sempre e comunque. E proprio sul dominio bianconero l’a.d. del club piemontese si concede a taccuini, microfoni e telecamere. Replicando alla critica che in questi giorni viene mossa al sistema italiano sui diritti tv partendo dall’esempio del Leicester, perché in Inghilterra la forbice dei proventi concessi ai club è molto meno ampia rispetto a quel che avviene in serie A. Ma in futuro lo squilibrio verrà ridotto? «La legge Melandri in Italia era nata proprio per rendere più competitivo ed equilibrato il campionato. Però – afferma Marotta – se si va a vedere quel che è accaduto da quando è entrata in vigore, praticamente la classifica è sempre la stessa: nelle prime sette posizioni ci sono i club più importanti, pertanto non è cambiato nulla. Dunque, non credo che il fatto di arrivare primi piuttosto che terzi, quarti o quinti dipenda dai soldi ma da altri fattori che sono lontani dalla grande disponibilità economica». Di sicuro, ad avvantaggiare la Juve nelle ultime stagioni è stata la possibilità di sfruttare e giocare nello Stadium. «La Juventus è stata lungimirante, è stata la prima società in Italia ad avere uno stadio di proprietà, che ha dato risultati importanti, non solo in termini di incremento dei ricavi ma soprattutto per il connubio con la tifoseria che ha dato un grande senso di appartenenza».
Dalle strutture al vivaio, perché il ricambio è fondamentale. E in tal senso è sempre più d’attualità il tema delle seconde squadre, perché è vicina la possibilità di iscriverle alla Lega Pro: «Siamo favorevoli alle seconde squadre perché riteniamo che possano essere strumento di crescita per i ragazzi senza che debbano andare in prestito ad altre squadre. Il fatto di rimanere nella società madre significa comunque crescere potendo rimanere a contatto con grandi campioni e in sintonia con metodologie di allenamento e tattiche. Le tempistiche? Auspico che già dal 2017/2018 si possa arrivare all’inserimento facoltativo delle seconde squadre».
E chissà che già in quell’annata in Lega Pro non possa tornare ad esserci anche il Varese, trampolino di lancio per Marotta, rinato trionfalmente dall’Eccellenza. «Purtroppo negli ultimi decenni abbiamo assistito alle difficoltà delle vecchie provinciali – ricorda Marotta – che specie in Lombardia e in Piemonte sono persino scomparse. È finita da tempo l’epoca dei mecenati, come era stato Giovanni Borghi per Varese, il territorio fatica a garantire risorse. Del resto, anche in serie A vediamo come le società milanesi abbiano aperto le porte agli investimenti di imprenditori stranieri. Bisogna prendere atto di questa nuova realtà».
Ma la realtà è per il momento felice per il Varese che ieri ha esultato con Carmine Marrazzo, vincitore del Premio Varese Sport. Applausi.