«Bravo, Davide, signori e signore, avete ascoltato il futuro sindaco di Varese». Quando Matteo Renzi comincia a parlare nella sala da novecentocinquanta posti del Vela, stracolmo per l’occasione della visita del Presidente del Consiglio, cala un silenzio assoluto. Rotto solo dalle risate e dagli applausi rivolti a un premier che sa come conquistare la platea. Anche quella non necessariamente tutta di sinistra dell’evento. Parla a Davide Galimberti, parla ai cittadini, cerca di smuovere l’orgoglio dei varesini in quanto italiani. Una bella sfida per un presidente del Consiglio sul palco per l’ultimo colpo di teatro della campagna elettorale del centrosinistra (una lista del Pd e quattro civiche) a sostegno dell’avvocato Galimberti. Dice Renzi: «L’Italia ha bisogno di Varese e di gente che si spacca la schiena». Ricorda, citando la richiesta di dieci milioni di euro che Galimberti ha già fatto per il rilancio del Sacro Monte, «che la cultura nutre l’identità delle comunità e le città devono avere un’anima composta di cittadini che non siano solo un codice fiscale».
Dice che se nelle amministrazioni comunali c’è qualcuno che timbra il cartellino e poi se ne va o che «fa il furbo, noi lo stanghiamo, può essere di destra o di sinistra, di sopra o di sotto: chi ruba sempre ladro è». Si rivolge direttamente a Galimberti: «Noi ci siamo, noi ci saremo, Davide, fai la politica bella». E ricorda di quando era sindaco a Firenze, che fare il sindaco per un amministratore è l’esperienza più bella, perché significa farsi carico delle esigenze degli altri».
Renzi “ammonisce” Galimberti, dicendogli le parole che un vecchio fiorentino disse a Renzi neosindaco: «O’ nanni, ricordati di spengere la luce la sera”. Come a dire: non sei il primo cittadino, ma devi essere l’ultimo». Ha parlato degli immigrati, «perché non mi importa se perdo un punto nei sondaggi: se un bambino sta affogando in mare io vado e lo salvo, non perdo la mia dignità».
Poi, l’attacco (anche ironico) alla Lega. Riferito a a Roberto Maroni capolista a Varese: «Ma si chiamano tutti Maroni, a Varese? Sono rimasto colpito quando ho visto quel nome, poi mi hanno detto che era proprio lui. E allora a Maroni dico “Ofelè fa el to mesté”…». One man show, Renzi, con affondi e appelli: «Agli elettori leghisti, ammantati spero da una passione vera, ricordo che si può misurare la distanza tra realtà e fatti. Il tempo della Lega è finito».
Un concetto espresso a chiare lettere da Davide Galimberti poco prima: «Per la Lega, il tempo è scaduto. Ho deciso di mettere la mia faccia in gioco perché sono stufo di vedere identificata Varese con la Lega, vedere accostare la propria città a una forza politica che in 23 anni non ha fatto nulla, è uno schiaffo per ogni varesino». Galimberti ha inoltre ricordato che la città deve uscire dall’isolamento «perché quella dell’isolamento è stata una proposta perdente, bisogna invece fare sistema e allacciare relazioni con altri comuni, con altre regioni, con atri Stati». Il candidato sindaco del centrosinistra ha ribadito «di avere già cominciato a lavorare come amministratore in questi mesi, facendo richieste per la città (riferendosi all’accordo con il sindaco di Firenze Dario Nardella per portare opere a Varese e ai dieci milioni di euro chiesti al governo per il Sacro Monte, ndr). Bisogna chiedere per poter ottenere».
Ad aprire la serata, il segretario regionale del Pd, il varesino Alessandro Alfieri: «Varese non è proprietà della Lega, bisogna sprigionare le grandi potenzialità di questa città – ha detto – . Il Partito Democratico è come una grande famiglia, dove si litiga e ci si confronta, ma è anche capace di ritrovarsi». Alfieri ha sottolineato che «Il Pd ha cambiato la geografia politica lombarda, ora manca Varese, ora è il tempo dell’orgoglio».