Il maxi convegno sul Referendum per l’autonomia del 22 ottobre accende le polveri della futura campagna elettorale. Tant’è che il primo confronto fra Roberto Maroni e Giorgio Gori deraglia presto in scontro, per quanto a distanza, perché quando a MalpensaFiere prende la parola il sindaco del Pd a Bergamo (e candidato in pectore per le Regionali), il governatore è già diretto verso Roma per un altro impegno istituzionale. Eppure Gori non rinuncia a lanciare il guanto di sfida, chiarendo ai 300 presenti radunati a Busto Arsizio (fra cui un centinaio di primi cittadini) che tutti ritengono utile il Referendum e voteranno sì, «ma Maroni racconta frottole su quelli che saranno i possibili effetti di questa chiamata alle urne. Pensate davvero che rimarranno qui i 54 miliardi di euro che ha citato? Vi ricordo che dal centrodestra spiegavano di voler trattenere il 75% delle tasse versate, ma non ci sono riusciti, anzi neanche ci hanno provato». Perché anche Gori crede che ci saranno aspetti che potranno migliorare con l’autonomia («Le nostre sei priorità sono su lavoro, istruzione, ricerca, tutela dell’ambiente, difesa della salute e valorizzazione dei poteri interni contro il centralismo regionale») ma al presidente lombardo rimprovera «troppa propaganda», mentre «sarebbe meglio parlare di cose serie», quindi «evitare di spaventare il resto d’Italia visto che il percorso che seguiamo dovrà contare anche sull’appoggio dei parlamentari». E spiega: «L’autonomia è nel Dna del centrosinistra, ma non raccontata come fa lui, per questo è stato giusto schierarsi senza sognarci di lasciare questa bandiera a una parte politica che ne fa solo strumento elettorale».
Come detto, mentre Gori attacca, Maroni è già in viaggio. E dire che il governatore poco prima aveva cercato di smussare ogni minimo spigolo, ribadendo che «questo non è il referendum di Maroni, né della Lega, ma il referendum di tutti i lombardi, uniti per la prima volta nella storia per un obiettivo comune». Maroni aveva anche parlato chiaro rispetto alla partita elettorale che si giocherà in primavera: «Lasciamola da parte, per quella ci sarà tempo. Non può essere questo l’argomento che genera divisioni». Di più, mano tesa: «Questa può essere la volta in cui vinciamo e poi assieme andiamo a Roma con i comitati del sì, tutti i comitati del sì, a pretendere risposte». I motivi della chiamata alle urne vengono enunciati con convinzione: «La nostra magari non diventerà una Regione a statuto speciale, ma resta una Regione speciale con tante qualità da valorizzare». Arrivare all’obiettivo, secondo lui, porterebbe i soldi con cui fare tutto ciò che oggi non si può fare: «La Catalogna vuole l’indipendenza con un residuo fiscale di 8 miliardi, da noi questa voce che indica i soldi versati qui ma spesi altrove è a quota 54 miliardi, ci basterebbe tenerne la metà». Così prende applausi e saluta, ringraziando il sindaco Emanuele Antonelli dell’evento bipartisan. Ma il veleno è dietro l’angolo, giusto il tempo di ascoltare la legittimazione costituzionale dell’autonomia per voce del professor Stefano Bruno Galli e capire le modalità di voto via tablet.
Infatti non appena Gori prende parola, scatta con le incornate. Al punto che Maroni, avvisato di quanto sta succedendo, ottiene il diritto di replica per voce del suo assessore Giovanni Fava. Tocca a lui chiudere con un secondo intervento fuoriprogramma il seminario: «Gori è già entrato in campagna elettorale», dice. «Però stia attendo a non fare ragionamenti contraddittori come questi in cui, pur di alzare i toni, dice una cosa e il suo contrario. Glielo consiglio per quando sarà in campagna elettorale, perché se fa così, sarà facile attaccarlo». Fatto sta che il referendum a cui tutti dicono sì, apre già l’orizzonte alla corsa di primavera per il Pirellone.
Gli imprenditori ci stanno «ma non per tutti i temi»
Autonomia sì, ma con prudenza. Lo spiega Riccardo Comerio, presidente dell’Univa, conscio di come «in ballo c’è la competitività, attraverso lo sviluppo funzionale del fare impresa e la difesa delle specificità», ma anche che «serve una prospettiva federalista sostenibile e integrata». Per dirla chiara, gli industriali «non firmano una cambiale in bianco» ma chiedono che «si capisca su quali materie si aprirà il confronto». Comerio sottolinea che «in autonomia lombarda si possono individuare utilissimi ambiti di intervento, continuando però a salvaguardare l’omogeneità nazionale su molti temi», in particolare «per quelle voci che impattano con l’avvio e l’esercizio delle attività di impresa». Perché a lui è chiaro che «non basta l’autonomia per essere efficienti e fare l’interesse generale». Il Referendum da Univa viene letto come «un volano per lo sviluppo economico di tutta l’Italia», senza però dimenticare l’aspetto della stabilità «perché abbiamo già troppi conflitti fra i vari livelli di governo con cui fare i conti».
Aneddoti e veleni da clima elettorale
Aveva visto giusto Roberto Maroni quando, alla vigilia del convegno bustese, ha esortato Giorgio Gori, suo probabilissimo avversario alle elezioni del prossimo anno, a non buttarla in politica. Cioè, evitare di sconfinare nella campagna elettorale per soffermarsi in esclusiva sul tema della manifestazione organizzata dal sindaco Emanuele Antonelli, riguardante appunto la consultazione di ottobre. Auspicio implicito anche nelle intenzioni di Antonelli, esponente di centrodestra ma, in verità, senza vincoli partitici precisi. «Nessuna propaganda elettorale» pareva essere la parola d’ordine. Però le intenzioni sono una cosa, l’operatività un’altra. E il tono ecumenico che avrebbe dovuto caratterizzare la mattinata si è subito infranto sotto i colpi di maglio di un velenoso aneddoto raccontato di Gori. Anno 2008, in piena era formigoniana. Il Celeste annuncia la volontà di negoziare col governo Berlusconi maggiori competenze per il Pirellone. Formigoni viene convocato ad Arcore e, alla presenza del premier e dei ministri della Lega, Maroni, Zaia, Bossi e Calderoli, invitato a desistere dal suo proposito. Vero? Falso? Maroni non ha potuto controbattere seduta stante: dopo il suo intervento d’apertura si è assentato per raggiungere a Roma il ministro Graziano Delrio. E quello di Gori è diventato un colpo basso, proprio delle campagne elettorali più infuocate. Il sindaco di Bergamo ha riferito ciò che gli aveva detto Formigoni, che con Roberto Maroni non sta usando particolari gentilezze. Resta la scia polemica attorno a un vecchio episodio che rischia di vanificare nell’elettorato più fragile lo spirito autonomista del governatore leghista, che sul referendum ha investito la sua credibilità politica. L’ha spiegato, anzi, ribadito davanti alla platea di amministratori riuniti a MalpensaFiere. Non quella che si può definire una folta rappresentanza del migliaio e più di primi cittadini lombardi invitati, di sicuro una rappresentanza significativa sotto il profilo politico: centrodestra e centrosinistra uniti a favore del sì. Quasi da non credere, se non fosse che i distinguo sul “sì diverso” propagandato dai sindaci dem stabiliscono una netta cesura tra i due schieramenti anche in questa circostanza. Di qua, fronte maroniano, l’esaltante prospettiva di trattenere sul territorio almeno la metà dei 54 miliiardi di residuo fiscale che ogni anno raggiungono i tentacoli dei vari ministeri; di là, la manifesta certezza che ciò non sarà possibile e che il livello delle richieste dovrà essere abbassato di molto. Detto ciò, tutti remano nella stessa direzione: conquistare per la Lombardia, regione virtuosa, motore economico, territorio ricco di eccellenze e opportunità, eccetera eccetera, una maggiore libertà d’azione su alcune materie. A cominciare dall’istruzione fino all’ambiente, dalla ricerca fino alla sanità; insomma, Lombardia speciale e, in scia a questa specialità e sulla base del cosiddetto federalismo differenziato, come previsto dalla riforma del titolo V della Costituzione, meritevole di guadagnarsi l’autonomia. Traguardo per nulla impossibile, al netto dei contrasti della politica, del Pd che si divide al suo interno (i sindaci non sono sostenuti dalla segreteria regionale, che pubblicizza l’astensione), delle polemiche sui costi della consultazione, dei tentativi di inserirsi comunque nell’iniziativa per intestarsene parte dei meriti e, infine, al netto della necessità di una forte affluenza alle urne per legittimare con il voto popolare la domanda di maggiori competenze. Insomma, una grande sfida. Che si gioca, piaccia o no, attorno al teso confronto tra Maroni e Gori in vista delle elezioni del 2018. Elezioni che stavolta passano anche dal referendum.