Farioli sulla fuga di lavoratori: «Malpensa dovrebbe essere più appetibile. Le esternalizzazioni potevano essere gestite meglio»
Il numero di passeggeri in continua crescita, il Terminal 2 riaperto in tempi record, nuove compagnie aeree in arrivo: da una buona fetta di mondo investono sullo scalo varesino e le vecchie già presenti aumentano la frequenza delle loro tratte e propongono in listino nuove destinazioni. Malpensa, dopo gli anni bui del Covid, sta vivendo un momento d’oro e si prepara a diventare più sostenibile grazie all’uso di biocarburanti, a strutture più efficienti dal punto di vista energetico, a veicoli di terra elettrici e più moderna grazie ai quei progetti inseriti nel Masterplan 2035 che verranno realizzati.
VIA IN DUECENTO
Ma non è tutto oro quello che luccica; come denunciano le sigle sindacali e come confermato dalle associazioni che ruotano attorno all’aeroporto e dai tanti dipendenti interpellati, il personale è, infatti, sotto organico e i lavoratori che decidono di dimettersi sono in crescita. «In passato essere assunti allo scalo significava ottenere un impiego, certo impegnativo e difficile, ma ben remunerato», racconta Gaetano Cannisi, segretario territoriale Fit Cisl Varese e dipendente dell’aeroporto di Malpensa dalla fine degli anni ‘80. «Nell’ultimo anno il numero degli aeroportuali che hanno deciso di lasciare il lavoro è in aumento e a oggi sono state circa 200 le persone che se ne sono andate». Sono soprattutto i dipendenti delle società di handling che erogano i servizi di terra a lasciare Malpensa – gli agenti di rampa, gli addetti del carico e dello scarico bagagli e i lavoratori ai check-in – e le cause sono molteplici, anche se gli stipendi non commisurati all’impegno sono in cima alla lista che fa stabilire di licenziarsi.
FARIOLI: «SEA MIOPE»
«Malpensa dovrebbe essere un ambiente di crescita e un’opportunità per il territorio», afferma Gigi Farioli, ex sindaco di Busto Arsizio e da sempre grande sostenitore dell’importanza dell’aeroporto per la provincia di Varese e non solo. «Stiamo vivendo in un contesto nel quale il mondo del lavoro, soprattutto per i giovani che si affacciano ai primi impieghi, non è più attrattivo. Malpensa dovrebbe essere più appetibile perché è una grande realtà che deve rispondere come elemento essenziale per lo sviluppo del territorio». L’aeroporto non è l’unica impresa nel nostro paese a vivere il fenomeno denominato “le grandi dimissioni”, ma i numeri parlano chiaro: se fino a una quindicina di anni fa i curricula arrivavano a centinaia e, per esempio, sotto un aereo parcheggiato per le operazioni di controllo e di carico e scarico lavoravano anche sette persone, ora le società di reclutamento fanno fatica a reperire personale e sottobordo gli agenti spesso non sono più di tre. «Credo che Sea, la società che gestisce Malpensa e Linate, abbia avuto una politica che ha finito per valorizzare troppo le società di handler», spiega Farioli. «Forse, una maggior attenzione a questa esternalizzazione avrebbe evitato la situazione attuale. Una società praticamente pubblica – ricordo che il socio di maggioranza di Sea è il comune di Milano – avrebbe dovuto avere una visione meno miope, soprattutto considerando il ruolo di responsabilità sociale che riveste nella crescita dello scalo e dell’economia del territorio». Insomma, secondo Farioli, la provincia e le persone che vi abitano e che vi lavorano dovrebbero avere nell’aeroporto un’opportunità più concreta e non vedere Malpensa come una realtà da cui scappare.