Luinese – La formaggella in crisi

La Prealpina - 13/01/2022

La Formaggella del Luinese è tornata alla produzione del 2010, quando venne istituita la Dop, il marchio di
Denominazione di origine protetta. Lo dicono i numeri del Clal, la società di consulenza che opera ed eroga servizi nel comparto agro-alimentare e, in particolare, nel settore latte-caseario.

Nel 2020 il formaggio più famoso del Varesotto ha infatti prodotto 8.396 forme, poche di più rispetto alle 7.858 del 2010, quando partì la rilevazione. La discesa libera non è iniziata con la pandemia perché, rispetto al record di 17.502 forme del 2018, si precipitò già a un -23% nel 2019, ulteriormente inasprito dal polare -38% del 2020.

Cosa sta succedendo? Si rischia che un marchio diventato una realtà agro-alimentare del Varesotto possa scomparire?
No.
A spiegare la situazione ci sono diversi aspetti e non tutti per forza negativi come indicherebbero, a prima vista, i
numeri della produzione presi così, a crudo: «Innanzitutto c’è stata una diminuzione degli associati che sono scesi a
sei – dice Mattia Crivelli, presidente del Consorzio -. Alcuni produttori hanno chiuso, altri non seguivano il disciplinare e
quindi sono usciti, mentre alcuni canali con la grande distruzione organizzata si sono fermati».

Sommando il tutto, chiaramente, si è assistito a una diminuzione dei volumi.

Per quanto riguarda le mancanze nel seguire il disciplinare delle regole per produrre la Formaggella del Luinese, per
esempio, alcuni controlli hanno rilevato come le capre, anziché andare al pascolo come previsto, venivano tenute nelle
stalle. Chiaramente questo riduce i costi e l’impegno, perché portare le caprette a mangiare l’erba tra le montagne di
Monteviasco, Curiglia e la Forcora, non è semplice. Ma non si fa. Qualcuno, invece, si comportava da furbetto. Risultato:
ora è fuori dalla Dop.

In un certo senso, però, questo dà forza a chi è rimasto: «Il disciplinare – aggiunge Crivelli – va rispettato al 100%. I costi ci sono e incidono, ma chi è rimasto ci crede e, in cambio, viene remunerato». Le poche forme rimaste, infatti, come spiega Fabio Ponti, responsabile regionale della Biodiversità di Slow food «vanno a ruba. Da dicembre a marzo,
quando cala la produzione, è impossibile trovarne». E i margini sono buoni: «Al dettaglio – afferma ancora Ponti –
la vendita è di 24-25 euro al chilogrammo. Quindi, per un formaggio con una stagionatura minima di venti giorni, è
un buon prezzo. Il problema è che mancano i giovani produttori, perché i costi sono alti: c’è la tassa sull’etichetta, i
controlli li deve pagare il produttore e di mezzo bisogna affrontare anche molta burocrazia. Magari si avvia un allevamento di capre, ma non si entra nel meccanismo della Dop».

E poi c’è il problema della grande distribuzione. Se, infatti, vendendo al dettaglio il prezzo è di circa 24-25 euro al
chilo, recentemente ai produttori è stato proposto un accordo per l’acquisto a circa 10 euro al chilo. Improponibile. Meglio quindi rimanere più con volumi di produzione più bassi, ma con più margine.

Fiere di settore e alleanza con i ristoratori

Nonostante i numeri sulle forme prodotte non siano certo esaltanti, la Formaggella del Luinese vuole ripartire nel nome di un valore: la qualità.

Nel 2021, per esempio, i produttori hanno partecipato a Cheese, una delle principali fiere mondiali del formaggio, organizzata a Bra. Si sono presentati con uno stand per mostrare agli addetti ai lavori e ai consumatori il primo formaggio Dop in Italia prodotto con il 100% di latte di capra. Qualche settimana fa, invece, le forme varesine sono andate in Valpolicella per promuovere un abbinamento col vino Amarone. Inoltre è stato avviato il progetto “Terre di Varese”:

«Abbiamo promosso – spiega ancora Mattia Crivelli – questo accordo con la Camera di commercio di Varese e i Vini varesini per promuovere e rilanciare il nostro prodotto. D’altronde con la Formaggella non si acquista soltanto un formaggio, ma si sostiene un marchio che tutela il territorio, salvaguardando i pascoli di montagna, prevenendo smottamenti e incendi e salvando la capra Nera di Verzasca dall’estinzione». Adesso, aggiunge invece Fabio Ponti, dirigente di Slow food Varese e Lombardia, «ci focalizzeremo su eventi in cui incontreremo ristoratori, enoteche e bar, per spingere le vendite anche in questo settore e non soltanto il commercio al dettaglio. La produzione di forme, infatti, può anche abbassarsi, ma non è detto che questi dati siano soltanto negativi, soprattutto se il calo innesca una ripartenza basata sulla qualità».