l referendum per la Lombardia autonoma, consultazione che non piace al governo centrale, si farà in ottobre. Il presidente leghista Roberto Maroni ha rotto gli indugi, dopo mesi di inutili trattative con Palazzo Chigi per l’election day con le amministrative o le politiche, ed ha annunciato l’apertura dei seggi. Il giorno?
«Lo decideremo oggi (ieri, ndr) con il presidente del Veneto Luca Zaia. Domani (oggi, ndr) in giunta comunicherò la data esatta». Attesa finita, dunque. Con un particolare tutt’altro che insignificante sul versante politico: la giunta regionale si riunirà ieri mattina nella sede della Provincia di Bergamo, città di cui è sindaco il piddino Giorgio Gori, che nelle scorse settimane ha dichiarato di essere pronto a votare “sì” al referendum, cavalcando di fatto la spinta autonomista della maggioranza di centrodestra al Pirellone. Una presa di posizione che contrasta con quella ufficiale del Pd, contraria alla consultazione popolare, considerata uno spreco di risorse pubbliche. Ma Gori, come si sa, è tra i candidati del centrosinistra a sfidare Maroni alle elezioni del prossimo anno. E cerca, evidentemente, di sconfinare nel campo avversario a caccia di consensi. Roberto Maroni ha parlato ieri ai giornalisti a margine dell’apertura del Salone dello studente, confermando la sua decisione che vede coinvolto il Veneto, l’altra regione del Nord che andrà alle urne con la Lombardia sullo stesso tema. Di nuovo Maroni: «Devono partire le procedure, abbiamo già fatto la gara per il voto elettronico e il crono programma è chiaro». Entusiasta Matteo Salvini, leader del Carroccio: «Non vedo l’ora di votare lo stesso giorno in Lombardia e in Veneto. Sono a Catania dove mi dicono: datetici l’autonomia vera, non quella di Crocetta». Poi ancora: «Il mio sogno è quello di Gianfranco Miglio, l’unità nel rispetto delle diversità. Quindi il referendum è fantastico. In Lombardia e in Veneto c’è gente stufa di pagare 70 miliardi di euro che finiscono allo Stato centrale». In verità, la chiamate alle urne ha mero valore consultivo. Ma se vincessero i “sì”, la Lombardia acquisirebbe forza contrattuale con il governo per ottenere poteri più ampi su diverse questioni, a cominciare da quelle fiscali. L’obiettivo è dunque principalmente politico. Non a caso il Partito democratico, con il segretario regionale Alessandro Alfieri, pone una serie di eccezioni: «Maroni vuole passare alla storia come il presidente delle Lombardia che ha speso 46 milioni di euro per fare una cosa che si può fare gratis. Il referendum consultivo serve per avviare il percorso costituzionale per trasferire alla Lombardia maggiori competenze, cioè serve per indire una riunione a Roma. Il Pd lombardo – sono sempre parole di Alfieri – crede da sempre che la nostra Regione dovrebbe avere competenze più di altre e per questa ragione ha offerto ormai un anno e mezzo fa un documento unitario dei sindaci dei capoluoghi e dei presidenti di Provincia con cui andare insieme a Maroni ad aprire il tavolo con il governo. Maroni non ne ha mai fatto nulla, così come non fece nulla per dare maggiore autonomia alla Lombardia nei tanti anni in cui è stato ministro». Di diverso parere Raffaele Cattaneo, presidente (Lombardia popolare) del consiglio regionale. Eccolo: «Accolgo con favore la notizia che la giunta fisserà la data del referendum consultivo per dare alla Lombardia più autonomia. Abbiamo bisogno di rilanciare un nuovo regionalismo, che consenta di gestire più competenze e di tenere più risorse sul nostro territorio». Nell’ampio ventaglio delle dichiarazioni successive all’annuncio del governatore c’è da registrare la presa di posizione del grillino Dario Violi: «L’indicazione della data non ci basta, perché il presidente è un campione di annuncite, vogliamo vedere il decreto firmato. Maroni fin qui ha evitato il referendum, addossando al governo il rallentamento della chiamata alle urne dei lombardi. E’ evidente che ha paura: questo referendum, grazie al lavoro del M5s, non sarà una consultazione concentrata sulla solita propaganda leghista sull’autonomia in salsa padana». In altre parole, i pentastellati non si fidano. Oggi, con la conferma del giorno per le urne, dovrebbero essere sciolti tutti i dubbi.