In gergo viene chiamata bitcon ed è una forma di riciclaggio che fa leva su trasferimenti virtuali di denaro. Con questo sistema i capitali viaggiano per tutto il mondo, esonerati dai costi canonici delle banche e soprattutto coperti da anonimato. A rialzare il velo sul fenomeno sono gli inquirenti del Canton Ticino – la sezione reati economico-finanziari della Polizia cantonale – che nel diffondere ieri i dati relativi all’attività svolta nell’ultimo anno, ha posto l’accento sulle truffe che coinvolgono altri Paesi, tra cui l’Italia.
Dalle numerose inchieste, è stata riscontrata, ancora, nel Cantone al confine con la provincia di Varese, la presenza di società estere (tra cui appunto svariate realtà italiane) con conti bancari in Svizzera, apparentemente attive nel commercio di beni di consumo ma in realtà società fittizie, “cartiere”, in piedi solo per produrre false fatture e dare vita così a frodi legate all’Iva ai danni di stati europei. Sono denominate le “truffe carosello” perché girandola di operazioni tra vari e differenti Paesi, con l’obiettivo appunto di architettare raggiri nei confronti di nazioni come l’Italia. La Svizzera, che ha un’aliquota dell’8%, quindi poco attrattiva rispetto all’Iva italiana (22%), è strategica nell’ottica di “seminare” le autorità che indagano sui flussi di denaro.
La piazza elvetica fa insomma da sponda per eludere i controlli finanziari o quantomeno precederli: quando arriva la richiesta internazionale di accertamenti, spesso il capitale si è già volatilizzato. Stanno emergendo anche, rivelano le autorità ticinesi, truffe ai danni di assicurazioni da parte di gruppi organizzati e con basi fuori dalla Confederazione, quindi anche in Italia.
I numeri dell’attività svolta: 173 nuove inchieste, nel 2016, da parte della Sezione reati economico-finanziari (253 quelle ancora aperte nel 2017), con 17 arresti. Le indagini hanno coinvolto «tutte le principali attività del settore economico terziario presenti in Ticino, oltre che del settore secondario, in particolare quello dell’edilizia». «Le diramazioni – precisa la Polizia cantonale – e le attività (perquisizioni, sequestri di documentazione, rogatorie) che coinvolgono il territorio italiano sono la norma». E dunque: gli affari sporchi s’intrecciano o hanno origine spesso, molto spesso, con l’Italia. Questo visto dalle autorità oltre frontiera. Altro fenomeno, dai risvolti penali, che ha interessato le indagini elvetiche: i retroscena dei fallimenti di aziende, default che nascondono finalità illegali. E che, anche in questo caso, stando sempre agli accertamenti della Polizia specializzata in reati finanziari, interessa l’Italia e cittadini italiani. Ci sarebbe infatti l’obiettivo di ottenere permessi di residenza e l’accesso al Welfare svizzero nella comparsa di società usa e getta. Dove il “getta” sta appunto nel fallimento. «Un cittadino straniero – spiegano le autorità di Bellinzona – può servirsi di una società ticinese per diversi scopi: frode fiscale all’estero mediante false fatture emesse dalla società ticinese, creazione di fondi neri utilizzati dagli imprenditori per finanziare atti di corruzione o drenare fondi dalla propria società estera per prepararne il fallimento». E in tutto questo il Canton Ticino non avrebbe niente da guadagnarci.