L’assurdosprint al paradosso

La Prealpina - 21/09/2017

All’estero, in tante nazioni d’alto lignaggio, non è una prassi bensì una festa. Perché il ciclismo, nella sua declinazione più affascinante, è da sempre una straordinaria occasione per riunirsi, ritrovarsi, stringersi. Attorno ai campioni del pedale, certo, ma soprattutto sulle proprie strade, quelle delle proprie città, dei propri paesi, dei luoghi più amati. Nessun altro evento sportivo si vive all’aperto e senza barriere come il ciclismo. Eppure, mentre centri persino non turistici di ogni angolo del pianeta concentrano sulle corse d’un sol giorno o sulle tappe dei grandi giri ogni sforzo, comprendendo quanto la carovana dei corridori, con la sua spinta mediatica, rappresenti uno straordinario valore propulsivo per il territorio, ai piedi delle Prealpi – culla della Tre Valli – si guarda al ciclismo con diffidenza o addirittura astio in un assurdo sprint al paradosso.

E paradosso, a voler essere sinceri, è un banale quanto innocuo eufemismo se rapportato al danno che certi improvvisati soloni rischiano ogni anno di provocare al territorio stesso nel quale vivono e che magari decantano sui social oppure al mare parlando col vicino d’ombrellone.

Ormai sta diventando un’abitudine, tutt’altro che piacevole. Anzi, sgradevole. Come allo sbarco del Luna Park s’abbinano piogge e temporali, da qualche tempo alle corse più amate s’affiancano le polemiche. Immancabili. Talvolta assurde. Spesso figlie di un’ignoranza poco tollerabile se tradotta in sentenze pronunciate da amministratori pubblici. In ogni caso, sempre partorite da una visione miopisticamente circoscritta al proprio orticello. E l’«orticellite» è il male peggiore, un virus letale se iniettato in un organismo che dovrebbe puntare a far sistema per ricavare benefici da donare ad una provincia bisognosa di evolvere e di evolversi.

Come è possibile che località della Francia e della Spagna vivano con passione e devozione totale eventi ciclistici che le valorizzano mentre alle nostre latitudini ogni appuntamento viene vissuto con contrarietà o anche solo con indifferenza?

Come è possibile che un altissimo rappresentante di Palazzo Estense parli istituzionalmente come se fosse al bar di presunti introiti da diritti televisivi per una Tre Valli Varesine che non solo non ricava un euro dalla diretta Rai ma invece dona alla città ed all’intera provincia il patrimonio inestimabile di due ore di splendide immagini trasmesse in oltre 80 Paesi di ogni continente?

Come è possibile che otto sindaci arrivino a pochi giorni da un evento programmato da mesi per comunicare la loro volontà di negare il nulla osta al passaggio di una Gran Fondo senza minimamente comprendere come il valore di essere attraversati da oltre duemila cicloamatori di decine di Paesi di tutto il pianeta sia infinitamente superiore, anche solo in termini di ricaduta economica per il territorio, rispetto al costo di qualche ora di straordinario dei propri agenti della Polizia locale?

E non si parli di disagio dei cittadini. La Gran Fondo attraverserà l’Alto Varesotto nella prima domenica di ottobre: quanto traffico dovrebbe esserci nelle ore mattutine a Montegrino Valtravaglia o a Rancio Valcuvia? Non scherziamo, suvvia.

Semmai, gli amministratori pubblici si adoperino e s’ingegnino per abbellire e addobbare i propri stupendi paesi per renderli indimenticabili nel cuore di chi li attraverserà in sella a una bici. E per coinvolgere i propri abitanti in una festa che doni gioia, abbracci, sorrisi e ricordi da tramandare.