Quando Gino Paoli
canta Brel e il suo capolavoro “Ne
me quitte pas” si capisce subito
che tipo è: un ottantenne con i baffi
bianchi, ma lo spirito di un ventenne.
Così il capostipite della
canzone d’autore italiana ha riempito
con la sua giovinezza innata,
il tono scanzonato, lo sguardo di
chi la sa lunga, ma finge di non accorgersene,
la Sala Napoleonica
di Ville Ponti. No, riempito è falso:
tanti, troppi posti vuoti e così i
varesini hanno perso un’altra occasione
(non è la prima, non sarà
l’ultima) per incontrare la storia
della musica di oggi. Chapeau a
Romano Oldrini e Bambi Lazzati
anche per l’ostinazione nel guardare
la qualità piuttosto che i numeri.
Alla presenza di Attilio
Fontana e Davide Galimberti, rispettivamente
presidente della
Regione e sindaco di Varese, Paoli
ha ricevuto il Premio Chiara Parole
della Musica – settimo di una
serie che annovera alcuni dei
maggiori cantautori di casa nostra
– seduto sulle poltrone rosse dell’Associazione
Amici di Piero
Chiara, fra i giornalisti
Vittorio Colombo
ed Enrico
De Angelis, e ha
tenuto banco come
si fa tra “quattro
amici al bar”, rilassato,
divertente,
caustico, pungente.
Sempre rivoluzionario,
a suo modo
s’intende. Ma
col tono di chi confessa d’aver
vissuto e che attende di vivere ancora
intensamente: «Ho ricevuto
tanto da chi ho incontrato fin qui.
La vita è un eterno divenire, sbaglia
chi pensa di poter capire tutto:
c’è sempre qualcosa che sfugge.
Sono agnostico, ma se dovessi un
giorno decidere di credere in Dio,
farei una sola cosa: lo ringrazierei».
E via raccontando gli scambi
“in natura” con gli americani, pomodori
dell’orto di
guerra a Pegli contro
“V-Disk”, i 78
giri da cui il giovanissimo
Gino imparò
la musica
Usa; la gatta più famosa
della canzone
leggera; l’incontro
con Luigi
Tenco e Bruno
Lauzi e le interpretazioni
straordinarie di Ornella
Vanoni; le “letture compulsive” e
mai sufficienti, «la vita è come
una libreria: ci entri convinto di
aver letto tanto e scopri che ciò
che rimane da leggere è molto di
più», aneddoti a go-go. Non sono
mancati gli inserti videomusicali
tratti dalla Rai e dalla Rts del Canton
Ticino (“C’era una volta una
gatta”, “Che cosa c’è” e altri brani
celebri), a fare da ponte fra passato
e presente, a rendere più attuale
l’attualità di un cantante
senza il quale l’Italia di oggi forse
sarebbe diversa. Fra tutti coloro
che sono passati dal Chiara, si è
proposto come uno dei meno costruiti
e più sinceri, al di là dei successi
e degli eccessi di cui è costellata
la sua lunga ed intensa vita,
artistica e non: «Sono convinto
che esista un pianeta, vicino alla
luna, che si chiama I-diot, dove
vivono esseri alieni che invadono
la terra e vi diffondono le loro
idiozie. Siamo ormai quasi al top.
Si stava meglio nell’Italia bacchettona
degli anni Sessanta».