Il 18 gennaio 1987 Renato Guttuso si spegneva a Roma, nella sua abitazione di Palazzo del Grillo, lasciando erede universale Fabio Carapezza, allora trentatreenne, figlio del vulcanologo Marcello, amico di lunga data del pittore.
Carapezza, oggi prefetto a capo dell’Unità di crisi del coordinamento nazionale del ministero dei Beni culturali e inviato nelle zone terremotate di Norcia e Amatrice, ci racconta di una interessante iniziativa per ricordare l’artista di Bagheria, ispirata dalla mostra “Guttuso. Inquietudine di un realismo”, allestita al Quirinale lo scorso ottobre.
«Renato negli ultimi anni di vita si era avvicinato alla fede cattolica e la sua “curiosità” si era già manifestata nella celebre “Crocifissione” del 1940, e anche nella “Fuga in Egitto” della Terza Cappella del Sacro Monte. Proprio durante il corso della mostra è emersa, a cura di due celebri teologi, una nuova lettura dell’opera che gli commissionò don Pasquale Macchi e tanto fece discutere all’epoca della sua realizzazione», spiega Carapezza, responsabile del Museo Guttuso di Roma.
«Credeva di non credere» e la sua fede si manifestava attraverso la forza della pittura e la fitta simbologia presente nei quadri.
«Si tratta di una lettura iconologica che riguarda soprattutto la scelta dei soggetti dell’acrilico di Sacro Monte, una famiglia palestinese e gli animali di contorno, l’asino, la capra, la colomba e il ramarro. Non posso anticipare nulla, dico soltanto che l’intenzione è di pubblicare uno studio teologico sull’opera, magari in due differenti versioni: una più divulgativa, una sorta di guida alla scoperta della “Fuga in Egitto”, l’altra molto più “tecnica” per gli addetti ai lavori. Entro l’anno vorrei mandare in stampa le due pubblicazioni. L’idea sarebbe di presentarle a Varese, che non ho mai dimenticato e alla quale mi legano splendidi ricordi. Ripenso agli incontri a casa Isella, da Giovanni e Marinellia Pirelli, dai Bellora, salotti culturali oggi purtroppo scomparsi e simbolo di una Varese attenta all’arte e frequentata da grandi intellettuali, basti pensare a Chiara, Sereni, Testori o allo stesso Baj, con cui ebbi modo di parlare nel breve tempo in cui fu assessore alla Cultura».