Che gli imprenditori varesini preferiscano rimboccarsi le maniche piuttosto che lamentarsi senza fine è cosa nota, soprattutto per chi ogni giorno apre i cancelli della propria azienda tessile. Ora, però, gli artigiani del filo e dei tessuti, hanno deciso di alzare la voce, perché va bene lavorare e reinventarsi ma le risorse non sono infinite e oggi è tempo che anche le istituzioni, locali e nazionali, si concentrino su quello che da sempre è uno dei pilastri dell’economia locale e nazionale. Nella sola provincia di Varese sono 737 le imprese artigiane del settore tessile per un totale di 5202 occupati.
Confartgianato Varese, che ben conosce il clima che si vive nelle aziende del settore, ha raccolto le testimonianze dirette di chi ogni giorno si impegna per costruire brand riconosciuti sui mercati, far quadrare bilanci e salvare il Made in Italy.
«Oggi noi non possiamo più contare sulle grandi quantità che ci hanno permesso di arrivare fino ad oggi – afferma Marco della tintoria Maino – Siamo obbligati a trovare delle alternative, ricercare altrove, affidarci alle nuove tecnologie, fare innovazione e ricerca. E’ arrivato il tempo di farsi aiutare, anche dalle istituzioni locali, ad esempio con la formazione di giovani che abbiano la mente aperta e portino freschezza e novità nelle nostre aziende».
E non si pensi che il governo possa chiamarsi fuori da queste nuove fide post crisi. «Per tutelare le nostre aziende ci vorrebbe sicuramente meno burocrazia – sottolinea Maria Carla del Ricamificio Albiati – e un pochino di aiuto da parte del nostro governo che dovrebbe guardare di più alle piccole aziende che sono quelle che sostengono l’Italia».
Le richieste insomma sono chiare. Sul piatto ci sono innanzitutto la disattenzione delle istituzioni nei loro confronti e un carico fiscale e burocratico troppo oneroso.
Ma è anche eccessivo il costo dell’energia che per imprese che hanno cicli produttivi lunghi come quello del tessile, si traducono in bollette da migliaia di euro ogni mese. Non solo.
Secondo gli imprenditori sono anche carenti da parte delle istituzioni gli investimenti in formazione tecnico scientifiche, necessaria per garantire continuità a un settore che deve puntare su innovazione di prodotto per competere sui mercati globali.
E mercati globali significa anche tutela del Made in Italy . «Per salvare il nostro settore servirebbe un sistema di tracciabilità del prodotto – sottolinea Filippo della Decatex – in modo da garantire il consumatore finale su ciò che ha acquistato su dove è stato realizzato e con quali caratteristiche tecniche. Questo sicuramente porterebbe un beneficio al nostro sistema produttivo manifatturiero e garantirebbe occupazione al nostro territorio».
La strada è solo questa. del resto la competizione, si nutre del grande patrimonio di conoscenze e del know how delle maestranze che agli occhi del mondo mantengono intatto l’appeal del Made in Italy.