Human technopole L’Insubria si “iscrive”

La Prealpina - 06/03/2017

Human technopole grande incognita. A due settimane dal primo incontro a Palazzo Estense tra i soggetti del territorio interessati ad “agganciare” il polo della ricerca sanitaria che sorgerà nell’area di Expo, il rettore dell’Università dell’Insubria, Alberto Coen Porisini, non si sbilancia sullo stato dei lavori. L’attenzione dell’ateneo resta molto alta, ma è la prudenza a farla da padrona in via Ravasi, proprio perché le carte in tavola non sono ancora state scoperte.

«Non c’è ancora uno statuto: è quello il vero pezzo mancante per cominciare la partita di Human technopole – osserva Coen Porisini -. Non sappiamo ancora chi sarà il direttore generale e come verranno assunti i ricercatori. Non sono dettagli irrilevanti, sono aspetti decisivi per capire come e con chi bisognerà interagire. Secondo i programmi la bozza dello statuto sarà varata entro l’estate: allora avremo le idee più chiare».

In ogni caso bisognerà farsi trovare pronti ed è questa la prospettiva degli incontri che Comune e stakeholder continueranno a organizzare nei prossimi mesi: «L’Università dell’Insubria è già attiva nella ricerca con ottimi risultati – prosegue il rettore -. Oggi è naturale collaborare tra diversi soggetti. Human technopole quindi agirà come facilitatore su un tessuto di relazioni che già esiste. Un’opportunità in più, preziosa».

Quindi oltre allo statuto sarà d’interesse per l’ateneo varesino capire come verranno assunti i circa 1500 dipendenti previsti: «I numeri che sono stati forniti comprenderanno anche il personale tecnico e amministrativo. Auspico un meccanismo per cui le istituzioni che già fanno ricerca prestino il loro personale. Servono ricercatori fissi ma anche dottorandi, assegnisti e giovani da fare ruotare in base ai progetti».

Al momento c’è una sola certezza per Porisini: «I soldi stanziati dal governo (80 milioni per il 2017) per questo nuovo polo della ricerca non sono stati sottratti al sistema universitario come si fece per l’Istituto italiano di tecnologia di Genova. Ma il vero punto di interesse è che il Paese sta cominciando a muoversi e investire concretamente in ricerca e innovazione. Inoltre, portando questo progetto in Lombardia il governo evita di costruire una cattedrale nel deserto: qui non c’è sabbia ma una rete di imprese, università, enti di ricerca e infrastrutture pronta ad accogliere un progetto simile».

Il rettore puntualizza: «Questa struttura sarà una occasione per fare ricerca. Significa avere un ritorno in termini di sviluppo dopo anni dalla sua entrata in funzione». Secondo Coen Porisini il polo costituirà una opportunità anche per le aziende farmaceutiche e biomediche presenti sul territorio ma per Varese la vera partita sarà cosa fare con il resto dell’area di Expo: «È questo che interesserà commercianti e industriali ma anche qui manca un pezzo. Si sa solo che si farà un bando internazionale per l’uso dell’area: i paletti saranno Human Technopole e il nuovo campus dell’Università Statale. Ma restano un milione di metri quadrati da riempire».

 

Un tavolo a Palazzo Estense

Sul progetto Human technopole, Varese si sta muovendo per non farsi trovare impreparata. Due settimane fa a Palazzo Estense si è tenuto un incontro a porte chiuse. Al tavolo, promosso dal Comune, erano presenti oltre al sindaco Davide Galimberti i rettori dei due atenei varesini: Università Insubria e Liuc di Castellanza. Ha coordinato i lavori Stefano Paleari, responsabile del comitato che sovrintende alla realizzazione del progetto ed ex-rettore dell’Università di Bergamo e presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane. Insieme con loro, le delegazioni di alcune organizzazioni imprenditoriali del territorio: da Univa alla Camera di commercio, alle associazioni che rappresentano le piccole e medie imprese e le aziende artigiane. Si è trattato di un primo incontro, altri seguiranno: l’intenzione di Paleari, infatti, è proprio quella di condividere il più possibile le fasi di realizzazione e di ricaduta positiva sul territorio al fine di creare un «progetto di comunità» per sviluppare ricerca e sostenere l’industria del futuro.