Gli anziani del paese lo chiamavano Dencèn, dentino, per via della sua estremità appuntita. Tecnicamente ha invece il nome di Mais Rostrato, col rostro a rappresentare la punta del granello a forma di dente, allungata e non rotonda come quella del mais comune che conosciamo. Era una delle coltivazioni tipiche di Cantello poi, per 55 anni, il nulla. Nessuno lo ha più coltivato, in una carestia decisa dall’uomo e dall’economia più che dalla natura.
A riprendere questa tradizione è stata l’azienda agricola di Federica Baj che è ripartita a seminare e raccogliere il mais cantellese. Merito innanzitutto del progetto di Slow Food realizzato in collaborazione con l’istituto Crea di Bergamo, una sorta di “Arca di Noè” dei semi antichi, che si occupa anche della conservazione di mais antichi, come quello colto a Cantello nel 1963. Il Mais Rostrato è rimasto lì, nel laboratorio della Bergamasca per oltre mezzo secolo, in attesa che qualcuno lo riportasse a casa, in Valceresio, come poi è accaduto: «Il primo anno è andata male, perché il campo non era recintato -spiega Federica Baj- e le pannocchie se le sono mangiate i cervi. Ci abbiamo ritentato proteggendo la coltivazione ed eccoci qua: col mais rosso raccolto abbiamo ricavato una ventina di chilogrammi di farina di polenta e l’abbiamo cucinata. È molto buona e diversa, aromatica, con un sapore di mais molto marcato, che si abbina bene con le carni, come nella prova col brasato cucinato da Nerito Valter. Mentre con una parte macinata a pietra molto fine, il fioretto, abbiamo provato a preparare un Dolce Varese e anche in questo caso l’esperimento è riuscito. L’obiettivo è di riportare questa coltivazione che era andata persa su una scala più ampia».
Nel frattempo a Slow Food festeggiano perché, dopo il mais Nostrano di Besnate e l’Agostanello di Lonate Pozzolo, è tornato a germogliare e a diventar polenta pure il Rostrato di Cantello: «Dopo l’invasione dei mais americani negli anni Cinquanta e Sessanta -spiega Alberto Senaldi del direttivo della condotta di Varese- sono spariti i prodotti locali che oggi andiamo a recuperare, riportando sul territorio una produzione per l’alimentazione umana e, soprattutto, rivalutandone la biodiversità, uno degli aspetti naturali più importanti sulla terra. In particolare, i nostri mais hanno qualità organolettiche, olfattive e gastronomiche di eccellenza».
E così Cantello si conferma uno dei territori del Varesotto con una vocazione agricola particolarmente spiccata nelle coltivazioni di nicchia e di eccellenza. Prima dell’esperimento sul mais, infatti, negli anni si è via via sviluppato il prodotto dell’asparago bianco, indicato particolarmente per cucinare dei risotti oppure con uova all’occhio di bue e (tanto) parmigiano. Una storia diversa rispetto al Rostrato, ma ugualmente gustosa.