Tutti amano banchettare con i formaggi, i salumi, il miele varesino. Oppure con l’asparago bianco di Cantello, le farine, il latte, possibilmente a chilometro zero. Prima dell’arrivo al palato, però, tutti questi prodotti hanno la necessità di percorrere al meglio il tragitto “dal campo agricolo al piatto”. E, in tal senso, serve un’agricoltura che funziona. E, nonostante tutto, sono stati anni di rilancio per l’agricoltura varesina: giovani, donne e le aziende storiche hanno rivitalizzato una tradizione antica che, dopo qualche anno in ribasso, come avviene per un campo incolto, è stato riseminato e ha prodotto nuovi frutti.
Questo scenario è emerso ieri pomeriggio, durante l’assemblea elettiva della Coldiretti provinciale, che si è tenuta all’agriturismo Paradiso di Arcisate. Prima delle elezioni che hanno visto Fernando Fiori confermatissimo alla guida dell’associazione di categoria contadina, si è discusso attorno a una tavola rotonda sul tema: “Agricoltura a Varese: il futuro nella filiera corta”: una discussione che ha permesso di tracciare lo stato dell’arte e le prospettive future dell’agroalimentare, dal campo alla tavola: e quindi il ruolo dei giovani, il successo del “chilometro zero”, i mercati agricoli, il rapporto con la grande distribuzione, il “ruolo sociale” dell’agricoltura. E i problemi che la toccano più da vicino sul territorio, non ultimi quelli legati all’invasione della fauna selvatica, al cambiamento del clima e alla sottrazione del suolo agricolo. Ad aprire il dibattito, moderato dal giornalista Mattia Andriolo, il presidente Fiori ha sottolineato l’ultima novità che riguarda la giunta regionale: «Una delle innovazioni – ha sottolineato Fiori – sta proprio nella scelta della Regione di far nascere, prima in Italia, un assessorato con competenze sull’intera filiera agroalimentare, di fatto un assessorato al cibo».
Ora che la giunta Fontana è al lavoro da qualche settimana, bisognerà che le proposte vengano trasportate dalle teste ai campi agricoli: «Per promuovere al meglio i nostri straordinari prodotti – ha detto Fabio Rolfi, neo-assessore lombardo all’Agricoltura, alimentazione e sistemi verdi – bisogna puntare sulla distintività, la tradizione e la qualità, oltre che sulla loro tradizione, in grado di raccontare un territorio. In questo modo il consumatore ci riconosce e ci premia. E mi riferisco sia a chi vive quel territorio, sia all’indotto turistico».
A proposito di territorio, Rolfi ha dato una buona notizia sul fronte dei cinghiali che, stando a tantissime denunce degli agricoltori varesini, distruggono il lavoro nei campi: «Assieme a tutti gli attori coinvolti – ha aggiunto Rolfi – avremo un approccio hard nei confronti dei cinghiali. Ciò avverrà soprattutto nei pressi di quelle colture di cui gli ungulati sono particolarmente voraci». Infine un appello alla grande distribuzione: «Lavoriamo assieme – ha concluso Rolfi – affinché i prodotti lombardi abbiano una giusta visibilità negli scaffali dei supermercati. In questo modo, inoltre, avremo a cuore anche la tutela della salute dei cittadini perché i prodotti locali sono anche quelli più sani per un’alimentazione equilibrata».
Sì allo scaffale, no alle multinazionali
In una discussione che ha toccato tutte le tappe “dal produttore al consumatore”, non poteva mancare un intervento della grande distribuzione organizzato. Coldiretti ha infatti invitato Paolo Orrigoni, presidente del gruppo Tigros, a parlare del futuro della filiera agroalimentare, con riferimento alla possibilità di dialogo diretto tra il mondo agricolo della produzione e il mondo della distribuzione organizzata, teso alla valorizzazione delle produzioni territoriali. «Oggi – ha affermato l’imprenditore – la fiducia è più importante della stessa filiera. Se c’è puntualità, qualità e i pagamenti avvengono nel momento giusto, si riesce a favorire un’economia vincente. In tal senso sono contento di aver avviato diverse collaborazioni con aziende varesine serie e con le idee chiare. Per quanto ci riguarda, puntiamo molto alla diversificazione e quindi puntiamo sullo scouting di prodotti diversi. In questo modo, in un negozio di grandezza media, riusciamo ad arrivare a 6.000 prodotti alimentari, di cui 3.000 freschi su un totale di 9.000 in vendita». Le conclusioni dell’incontro sono state invece affidate al presidente di Coldiretti Lombardia e vicepresidente nazionale Ettore Prandini che ha tracciato il percorso da seguire e dell’azione di Coldiretti, schierandosi contro le multinazionali: «Dobbiamo cercare di frenarle – ha detto – perché queste aziende arrivano, non creano redistribuzione del reddito, fanno diminuire l’occupazione e non pagano le tasse in Italia. Per fortuna la testa dei consumatori non possono comprarla e quindi, anche un colosso come Barilla sta facendo marcia indietro: non comprerà più il grano duro canadese, ma passerà a quello italiano. E quindi la necessità è questa: valorizzare il prodotto italiano perché in America, pur di mangiare Made in Italy, comprano pure le merci contraffatte. Qui da noi, una dimostrazione di quanto sia fondamentale difendere la territorialità, è testimoniata dall’etichettatura del latte, una nostra grande battaglia vinta».
Un brand del territorio contro le contraffazioni
Nel dibattito di Coldiretti, una visione globale con riferimenti locali è arrivata dal professor Dipak Raj Pant dell’università Cattaneo-Liuc di Castellanza, che ha tracciato i possibili scenari per un’agricoltura italiana e varesina inserita nell’economia di un futuro a medio termine. «Anche in un’impresa agricola – ha affermato – la base di tutto è la sostenibilità, non solo ambientale per avere sempre risorse come acqua, aria e suolo in quantità e con qualità.
Ma la vita lunga e florida di un’azienda dipende anche da una fattibilità economica-finanziaria, dalla sicurezza umana, dal benessere sociale e da una legittimazione morale». In particolare, il docente di origini nepalese, ha poi approfondito temi di grande attualità: l’agricoltura nei contesti di industrializzazione matura, gli scenari globali emergenti e le incertezze di oggi, non ultima quella connessa ai cambiamenti climatici: «In tal senso bisogna creare delle infrastrutture – ha aggiunto Pant – che minimizzino i rischi. Ad esempio: piove poco? Si devono creare delle riserve e dei sistemi di conservazione dell’acqua». Infine sui prodotti: «Per evitare le contraffazioni, tipo quella del Parmigiano che diventa Parmesan, bisogna lavorare su un brand del territorio per tutti i prodotti di un determinato luogo che, in questo modo, non può assolutamente essere rubato. Ciò sarebbe fondamentale, soprattutto per un’agricoltura di qualità, come quella italiana».