Continua il “No” del Canton Ticino nei confronti di compiere dietrofront sull’obbligo di presentare il casellario giudiziale per chi chiede il rilascio o il rinnovo di un permesso B (dimoranti) o di un permesso G (frontalieri). Il documento contiene le informazioni relative a vicende processuali, come provvedimenti giudiziari e amministrativi della persona ed è una misura entrata in vigore nell’aprile 2015 nel Cantone di lingua italiana.
In pratica nel territorio a ridosso del confine col Varesotto, per poter ottenere un impiego, i frontalieri devono dimostrare di essere incensurati o quasi. Ciò, inizialmente, aveva suscitato parecchie reazioni polemiche, soprattutto da parte delle istituzioni italiane e dell’Unione europea con Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia che era andato a muso duro contro il provvedimento. Tuttavia la norma non aveva preoccupato più di tanto i frontalieri, ben più in tensione per altre vicende: dall’aumento della tassazione al progressivo blocco delle frontiere per chi cerca lavoro. A ogni modo nel maggio scorso il Consiglio di Stato, vale a dire il governo ticinese, aveva dato mandato al Dipartimento delle istituzioni (l’assessorato cantonale all’Interno) di presentare un’alternativa. Da allora è calato il silenzio, che è stato rotto da un intervento di Norman Gobbi, direttore del Dipartimento delle istituzioni. Interpellato sulla materia da Radio Fiume Ticino, l’esponente della Lega dei ticinesi ha affermato che «il nostro territorio deve potersi preservare dalla presenza di persone non desiderate che hanno già commesso dei reati gravi all’estero». Tradotto: si tira dritto.
Nel frattempo «giovedì a Berna ho ribadito al presidente della Confederazione Johann Schneider Ammann e ai segretari di Stato De Wattewille e Gattiker, che negli ultimi due anni e mezzo sulle 200mila e passa decisioni prese dell’Ufficio della migrazione del Canton Ticino solo l’1% è stato negativo: la metà per motivi economici e l’altra metà per motivi di ordine pubblico. Quindi si tratta di discutere sullo 0,5% delle decisioni».
Insomma, un numero risibile, minimo, e su cui Gobbi non vuol fare marcia indietro anche se ciò, assieme alla votazione del referendum “Prima i nostri” sta minando l’impianto dell’accordo fiscale italo-svizzero che tanto non piace ai frontalieri ma che, nemmeno è gradito al Canton Ticino.
Insomma, sulla questione più importante da quarant’anni a questa parte, frontalieri e Cantone potrebbero battagliare gli uni accanto all’altro