Per sedici anni è stato direttore di Malpensa, dal 1984 al 2000. «Allora era un altro aeroporto», sospira Gianni Scapellato. Poi ha guidato lo scalo di Rimini e ora continua ad occuparsi di strategie aeroportuali, oltre ad insegnare Logistica del trasporto aereo alla facoltà d’Ingegneria gestionale della Supsi, l’università svizzera e agli istituti Vinci. Siciliano d’origine, da trent’anni abita a Gallarate dopo aver vissuto a Somma e a Cardano. Conosce il territorio, conosce l’ambiente aeroportuale e ha già fatto parte della commissione (comitato) di Malpensa durante l’amministrazione di Edoardo Guenzani. Ora rilancia la sfida con Cassani.
Che ruolo può avere il territorio rispetto a Malpensa?
«Finora sul territorio a occuparsi di Malpensa ci ha pensato il Cuv (consorzio urbanistico volontario, ndr) ma ha dedicato principalmente la sua attenzione sull’impatto acustico. Non entro nel merito di come sia stato giocato questo ruolo di tutela ma il punto di partenza è stato: l’aeroporto crea delle penalizzazioni che vanno sistemate. Ora bisogna cambiare sguardo. Avere il coraggio di impostare una logica completamente diversa, partendo proprio da Gallarate».
E come?
«Gallarate sente poco il problema del sorvolo, ma il suo ruolo è importante sul piano dell’indotto e dei contraccolpi economici dell’aeroporto. Da qui può partire la svolta perché Malpensa non va più interpretata solo come fabbrica che produce rumore ma come occasione che sviluppa reddito e livelli occupazionali. Ciò non significa affatto dimenticare l’ambiente ma cambiare punto di vista. E diventare protagonisti».
Sarebbe una svolta storica perché l’aeroporto si sente più milanese che varesino.
«Verissimo. Ora, però, si tratta non tanto di condividere la rotta degli aerei (va bene discutere anche di questo) ma il modello di business che l’impresa aeroporto può generare sul territorio».
Il presidente Modiano sta girando nei Comuni, la Sea sta dimostrando questa disponibilità.
«Bisogna chiedersi, però, se sia venuto davvero per condividere il modello di business? Oppure, e siamo alle solite, si è incontrato con i Comuni solo per le rotte. Si deve discuterne, non dico di no, ma in maniera moderna seguendo l’esempio europeo. Heatrow ha 118 milioni di passeggeri, sei volte quelli di Malpensa. E cosa fa? Oltre alle rotte si parla di aeroporto come fabbrica di servizi che produce redditività non solo al padrone – cioè all’azionista – ma anche al territorio».
Come concretizzare questi concetti?
«Io non faccio politica, non faccio proclami ma mi rendo conto che la politica deve per forza avere un ruolo, deve essere capace di gestire ad ampio respiro queste problematiche, analizzandole sotto tutti i punti di vista».
Per esempio?
«Nell’area di Malpensa abbiamo tanti capannoni abbandonati, a Gallarate c’è la caserma dell’aeronautica che sta a pochi chilometri dall’aeroporto e permette facile collegamento con l’autostrada. E’ qui che bisogna battersi per fare sistema e portare il business sul territorio».
Altrimenti?
«Saremo costretti a subire i fenomeni, senza avere voce in capitolo. Ma io spero che si possa invertire la rotta».